Tra i libri più duri, coraggiosi e sconvolgenti degli ultimi decenni, Tigre, tigre di Margaux Fragoso, pubblicato da Mondadori, è un’opera che scava nel cuore dell’abuso e della manipolazione psicologica, restituendo voce e dignità a una vittima di pedofilia che ha trovato nella scrittura un modo per sopravvivere.
Non è un romanzo inventato, ma un racconto autobiografico, lucido e doloroso, che l’autrice costruisce come una lunga confessione e una presa di coscienza. Il libro affronta uno dei tabù più scomodi della società, la pedofilia, non dal punto di vista del carnefice, ma da quello della bambina che diventa donna sotto il controllo del suo abusatore.
Tigre, tigre è una lettura che scuote, disturba, ma è anche profondamente necessaria. È un viaggio nella mente e nel cuore di una vittima che, per molti anni, non ha saputo riconoscere di esserlo.
L’inizio dell’incubo: una giornata in piscina
La storia comincia con una scena apparentemente innocente. Margaux, una bambina di sette anni, trascorre una giornata in piscina insieme alla madre. È qui che incontra Peter, un uomo di cinquantuno anni, che la osserva, la attira con dolcezza e, poco alla volta, si insinua nella sua vita.
Peter appare come un uomo gentile, divertente, affettuoso: possiede una casa meravigliosa, piena di animali, libri e giocattoli, un mondo da sogno per una bambina solitaria. Margaux rimane incantata da quell’universo colorato, così diverso dal grigiore della sua quotidianità.

La sua famiglia è instabile: il padre portoricano è un uomo violento e alcolizzato, capace di slanci affettivi improvvisi seguiti da esplosioni d’ira, mentre la madre soffre di gravi problemi psichici, incapace di prendere decisioni e più volte ricoverata in ospedale. In questo contesto fragile, l’incontro con Peter sembra quasi una salvezza.
E proprio in questo squilibrio familiare si insinua il male: l’uomo sa esattamente come conquistare la fiducia della bambina e dei suoi genitori, manipolando le loro debolezze per costruire un legame apparentemente innocente, ma in realtà profondamente malato.
Il lento e spietato meccanismo della manipolazione
In modo subdolo e graduale, Peter diventa il centro del mondo di Margaux. Tutto comincia con piccoli gesti affettuosi: baci sulle labbra “per gioco”, carezze, parole gentili, regali. Niente che, all’inizio, sembri apertamente pericoloso agli occhi di una bambina. Ma ogni gesto è calcolato per abituarla, per farle credere che quella sia una forma di amore autentico.
Margaux cresce sotto la sua influenza, convinta di essere speciale, di essere amata come nessun’altra. Il lettore assiste, pagina dopo pagina, alla trasformazione psicologica di una bambina che diventa vittima e, col tempo, complice inconsapevole.
La potenza del libro sta proprio qui: nel modo in cui mostra l’assoluta ambiguità dei sentimenti che un rapporto abusivo può generare. Margaux ama Peter, e allo stesso tempo lo teme. Lo desidera, ma lo odia. Vive in una trappola costruita con l’illusione dell’affetto, dalla quale non riesce a liberarsi.
La solitudine e la dipendenza affettiva
Per anni, nessuno si accorge di nulla. Il padre, pur sospettando qualcosa, non agisce mai concretamente; la madre, fragile e confusa, sembra non capire o non voler vedere. Solo un giorno, ancora in piscina, qualcuno nota la stranezza di quella coppia una bambina e un uomo adulto che si baciano sulle labbra e avverte i genitori.
Seguono divieti, allontanamenti, ma per Margaux è troppo tardi. La bambina, privata del suo “amore”, sprofonda nella depressione. Non mangia, non parla, non riesce a vivere senza di lui. E quando, dopo due anni, i due riprendono a vedersi, la spirale ricomincia più intensa di prima.
Peter la convince che tra loro ci sia un legame unico, puro, diverso da tutto ciò che esiste al mondo, e Margaux, ormai adolescente, ci crede. A 14 anni lui le dice che vuole essere solo suo amico, ma l’inganno continua. A 16 anni, sarà lei stessa a chiedere di avere un figlio da lui, convinta che un bambino possa sigillare per sempre quel legame. È il momento in cui l’abuso diventa totale, fisico, definitivo.
Una prigionia lunga quindici anni
La relazione tra Margaux e Peter durerà circa quattordici anni, fino al suicidio dell’uomo, quando lei ha 22 anni e lui 66.
Durante tutto questo tempo, Peter alterna momenti di dolcezza e manipolazione a ricatti emotivi e sensi di colpa. La tiene legata a sé con la paura di perderlo, di restare sola, di essere giudicata dal mondo esterno.
È un meccanismo perfetto, quello del carnefice che diventa salvatore: la isola dai suoi coetanei, la convince che nessuno la capirebbe come lui, e che l’unico modo per essere felice è rimanergli accanto. Alla fine, quando Peter decide di togliersi la vita, le lascia una lunga lettera e le chiavi della sua auto. È come se anche la sua morte fosse un’ultima forma di controllo: un modo per non permetterle mai di essere veramente libera.
Un libro difficile, ma necessario
Tigre, tigre è un libro che non si dimentica. Margaux Fragoso non cerca pietà, non si giustifica, non giudica. Racconta i fatti così come sono accaduti, con una voce che alterna ingenuità infantile e consapevolezza adulta. La sua scrittura è cruda, autentica e coraggiosa, e proprio per questo riesce a trasmettere con forza il meccanismo psicologico dell’abuso: il lavaggio del cervello, la manipolazione, la confusione tra amore e violenza.
È anche un libro che aiuta a comprendere la complessità del trauma, mostrando come la vittima non sempre riesce a identificare subito l’abuso, e come la dipendenza affettiva possa diventare una forma di prigionia invisibile ma potentissima.
Leggerlo significa entrare in un territorio scomodo, ma fondamentale per capire quanto sia necessario ascoltare, educare e riconoscere i segnali. Non è un libro per tutti, ma è un libro che tutti dovrebbero leggere almeno una volta, con rispetto e attenzione.
Conclusione: la forza della verità
Con Tigre, tigre, Margaux Fragoso ha compiuto un atto di immenso coraggio: trasformare il dolore in parola, l’abuso in testimonianza, la vergogna in consapevolezza. Il suo racconto non è solo una denuncia, ma anche un grido di speranza.
Mostra che, anche dopo anni di manipolazione e violenza, è possibile riconquistare la propria voce e raccontare la verità, per sé e per gli altri.
Il libro lascia un segno profondo, un misto di rabbia, compassione e incredulità. Ma, soprattutto, lascia una domanda: quante storie simili restano ancora inascoltate?
