Recensione: Joyland di Stephen King

Pubblicato nel 2013 ma ambientato nell’estate del 1973, Joyland di Stephen King è un romanzo che sorprende per la sua atmosfera malinconica e intimista, lontana dagli orrori sovrannaturali tipici del Re del Brivido. In questo libro, King abbandona temporaneamente il puro terrore per raccontare una storia di formazione, amicizia e crescita personale, sullo sfondo di un piccolo parco divertimenti della Carolina del Nord.

Trama e ambientazione: un’estate sospesa tra realtà e mistero

Il protagonista è Devin Jones, un ventenne studente universitario che attraversa un periodo difficile dopo una delusione amorosa. Per distrarsi e guadagnare qualche soldo, decide di rispondere a un’inserzione di lavoro estivo presso Joyland, un parco divertimenti situato a Heavens Bay, nel cuore della Carolina del Nord.

Sin dai primi giorni, Devin viene catapultato in un microcosmo affascinante e particolare, popolato da personaggi pittoreschi e legato a un linguaggio tutto suo un gergo da “addetti ai lavori” che, come lo stesso autore ammette alla fine del romanzo, è in parte frutto della sua immaginazione. In questo mondo fatto di luci colorate, musica, hot dog e giostre scricchiolanti, King riesce a evocare una forte sensazione di nostalgia per un’America che non esiste più, quella ingenua e vivace dei primi anni ’70.

joyland recensione

Accanto a Devin ci sono due figure chiave: Erin Cook, una ragazza vivace e intraprendente che lavora come fotografa, e Tom Kennedy, il suo compagno di avventure e collega. I tre condividono un’estate indimenticabile, fatta di amicizia, sorrisi e primi confronti con le ombre dell’età adulta.

Ma Joyland non è soltanto un luogo di spensieratezza. Tra le sue attrazioni si nasconde infatti un mistero irrisolto: nel “Castello del brivido”, la casa degli orrori del parco, quattro anni prima è stata assassinata una giovane donna. Il suo spirito, si mormora, aleggia ancora tra le pareti dell’attrazione, e il suo assassino non è mai stato catturato.

Un romanzo di crescita più che di paura

Quando l’estate finisce e i suoi amici tornano all’università, Devin decide di restare a Joyland, prendendosi un anno sabbatico. È in questo periodo che la storia si approfondisce e assume toni più maturi e riflessivi. Il giovane protagonista incontra Ann Ross, una donna dal passato complicato, e il suo figlioletto Mike, affetto da una grave malattia ma dotato di una sensibilità fuori dal comune.

Mike, con la sua innocenza e le sue “visioni”, diventa una figura centrale nel percorso di Devin, aiutandolo — letteralmente — a vedere oltre l’apparenza e, nel momento più drammatico, a salvarsi la vita. Sarà infatti grazie a lui che Devin riuscirà a scoprire la verità sull’assassino della ragazza del Castello del brivido, in un finale che unisce tensione e commozione.

Tuttavia, nonostante il mistero e l’elemento paranormale, Joyland non è un horror nel senso classico del termine. È piuttosto un romanzo di formazione in cui il protagonista attraversa la transizione dall’adolescenza alla maturità, imparando a convivere con il dolore, la perdita e la consapevolezza di sé.

Uno stile insolitamente sobrio per il Re del Brivido

Ciò che colpisce maggiormente di Joyland è il tono narrativo. Il libro è scritto in prima persona, attraverso gli occhi di Devin, e questo conferisce un’immediatezza e una delicatezza inusuali per King. La sua prosa è semplice, scorrevole e priva dei toni cupi che contraddistinguono opere come Shining o It.

Molti lettori hanno notato, come anche sottolinei tu, una differenza marcata nello stile, tanto da sembrare quasi il lavoro di un altro autore. Lontano dai mostri e dagli incubi sovrannaturali, King costruisce una storia umana, fatta di emozioni quotidiane, ricordi, odori e piccole paure. È un romanzo che parla di crescita, di prime esperienze, e di quella particolare malinconia che accompagna la fine della giovinezza.

La scelta dell’ambientazione negli anni ’70, in particolare nel 1973, contribuisce a rendere il racconto più caldo e nostalgico. Non ci sono telefoni cellulari, internet o distrazioni moderne: solo la musica, il mare, i sorrisi dei turisti e i rumori del parco che si accende ogni mattina come un mondo a parte.

Joyland tra mistero e malinconia

Sebbene il romanzo includa un mistero irrisolto e un’ombra di soprannaturale, Joyland non punta tanto a spaventare quanto a commuovere. Il fantasma della ragazza assassinata non è il fulcro della storia, ma un simbolo: rappresenta il dolore che non passa, i segreti che ogni luogo e ogni persona portano con sé.

Il vero cuore del romanzo è Devin, con la sua vulnerabilità e la sua sete di significato. Attraverso l’esperienza a Joyland, il protagonista impara non solo a superare la delusione amorosa, ma anche a capire cosa significa davvero crescere.

Il rapporto con Ann e con il piccolo Mike introduce un tema caro a King — quello del legame umano come forza salvifica. Non c’è magia più potente, sembra dirci l’autore, di quella che nasce dal contatto con gli altri, dalla compassione e dall’amore disinteressato.

Un libro che divide ma conquista

Dal punto di vista narrativo, Joyland è un romanzo ben scritto, lineare e coinvolgente, ma può lasciare spiazzati i fan storici di Stephen King. Chi si aspetta il terrore puro, troverà una storia più dolce e riflessiva, quasi un “coming-of-age” mascherato da thriller.

È un libro “carino”, come lo definisci tu, piacevole e di facile lettura. Ma per molti lettori abituati alle atmosfere cupe e ai colpi di scena mozzafiato, può risultare troppo leggero, quasi irriconoscibile rispetto al King classico. Tuttavia, proprio questa diversità ne rappresenta la forza: Joyland è la dimostrazione che il Re del Brivido sa scrivere anche senza far paura, raccontando l’orrore più grande di tutti, quello di crescere e dire addio all’innocenza.

Conclusione

In definitiva, Joyland è un romanzo che si legge con piacere e lascia un retrogusto dolceamaro. È una favola malinconica sul passaggio all’età adulta, una storia di mistero ma anche di tenerezza, che mescola nostalgia, amore e un pizzico di paranormale.

Stephen King ci accompagna in un viaggio nel tempo e nell’animo umano, ricordandoci che non sempre serve un mostro per avere paura. A volte basta guardare dentro sé stessi o tra le ombre di un vecchio parco divertimenti d’estate

admin

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