Pubblicato nel 1971, Post Office è il primo romanzo di Charles Bukowski, scrittore tedesco naturalizzato statunitense, noto per il suo stile diretto, sporco e incredibilmente autentico. È un libro che segna l’inizio della sua carriera narrativa e al tempo stesso ne sintetizza perfettamente la filosofia: raccontare la vita per quello che è senza filtri, senza eroi, senza ipocrisie.
Il protagonista è Henry Chinaski, alter ego dell’autore, una sorta di specchio dell’anima di Bukowski. Attraverso di lui, l’autore mette in scena una realtà cruda e ironica, fatta di eccessi, alcol, donne e disillusione.
Post Office non è solo un romanzo autobiografico: è un urlo di ribellione contro la società americana degli anni ’50 e ’60, contro il lavoro alienante e la falsa moralità borghese.
Henry Chinaski: l’antieroe di una generazione
Henry o “Hank”, come lo chiamano gli amici — lavora come postino a Los Angeles, un mestiere che odia profondamente. La sua vita è un alternarsi di giornate monotone, sbronze colossali e amori destinati a fallire. Bukowski, attraverso il suo alter ego, racconta la quotidianità di un uomo che si sente imprigionato nella routine, ma che al tempo stesso non riesce o non vuole sfuggirle del tutto.

Henry è un personaggio sgradevole ma vero, capace di attrarre e respingere nello stesso momento. Beve troppo, si comporta in modo irresponsabile, disprezza il sistema, ma conserva una lucidità quasi filosofica. È l’uomo che non accetta compromessi, anche se questo significa vivere ai margini.
La trama: il lavoro, l’alcol e la fuga impossibile
La trama di Post Office è tanto semplice quanto devastante nella sua onestà. Chinaski trova lavoro presso l’amministrazione postale americana e inizia una lunga e surreale battaglia con il suo superiore, Stone, simbolo della burocrazia cieca e dell’autorità senza volto.
Le giornate scorrono lente tra lettere da consegnare, ordini insensati e una fatica fisica e mentale che logora più dell’alcol.
Parallelamente, nella vita di Henry si alternano tre donne:
- Betty, dolce e materna, che rappresenta la stabilità;
- Joyce, ricca e ossessiva, un rapporto dominato dal desiderio e dalla dipendenza;
- Fay, spirito libero e hippy, che porterà nella vita di Hank la paternità e un barlume di speranza.
Ma la speranza in Bukowski non dura mai troppo: tra una sbronza e una corsa all’ippodromo, Henry capisce che nessun lavoro, nessuna relazione, nessuna illusione può davvero salvarlo.
Quando arriva il licenziamento — accolto con la più grande ubriacatura della sua vita — Chinaski trova finalmente una forma di liberazione: quella di chi non deve più fingere di appartenere a un mondo che non lo rappresenta.
Un insulto alla normalità
Post Office è, come molti lo definiscono, un insulto alla normalità. Bukowski racconta con feroce ironia la mediocrità dell’uomo comune e la trappola della sicurezza lavorativa.
Emblematica è la riflessione finale del libro, in cui Henry paragona il lavoro alla prigione: una cella confortevole dove non mancano cure, pasti e compagnia, ma dove la libertà è solo un ricordo.
Bukowski mette a nudo la follia della società moderna, dove la “vita sicura” coincide con la morte spirituale. Meglio essere un ubriacone senza certezze che un impiegato prigioniero della routine. In questo senso, Post Office è un romanzo di formazione al contrario: invece di crescere, Chinaski impara a distruggere, a disobbedire, a vivere senza scopi precisi.
Stile e linguaggio: la poetica della sporcizia
Bukowski non scrive per piacere o per convincere. Scrive per sfogare, per sputare fuori la verità.
Il suo stile è asciutto, diretto, privo di abbellimenti. Ogni frase è un pugno, ogni dialogo una provocazione. La sua prosa è impregnata di cinismo, ironia e disincanto, ma anche di un’inattesa delicatezza.
Nonostante la brutalità dei temi sesso, alcol, fallimento Bukowski riesce a trasformare la miseria in letteratura autentica, con la forza di chi ha davvero vissuto quello che racconta. Il linguaggio è quotidiano, spesso volgare, ma incredibilmente efficace nel catturare il ritmo della vita reale.
Un romanzo autobiografico e universale
Post Office è un’opera profondamente autobiografica. Bukowski, prima di diventare uno scrittore affermato, lavorò davvero per anni alle poste di Los Angeles. Quella vita fatta di orari, capi e umiliazioni diventa materia narrativa, simbolo di una generazione intera intrappolata nel mito del “posto fisso”.
Ma il romanzo va oltre l’autobiografia.
È una riflessione universale sulla libertà, sull’alienazione e sulla ricerca di senso in un mondo che sembra non averne.
Henry Chinaski diventa il portavoce di tutti coloro che si sentono fuori posto, di chi non riesce ad adattarsi alla società, di chi sceglie di vivere ai margini pur di non perdere sé stesso.
Conclusione: Bukowski, il poeta del disincanto
Post Office è uno dei capolavori assoluti di Charles Bukowski. Attraverso il suo alter ego Chinaski, l’autore racconta l’assurdità della normalità e la bellezza del fallimento. Ogni pagina è impregnata di alcol, sesso e disillusione, ma anche di un’ironia tagliente che rende il tutto sorprendentemente leggero.
Bukowski non giudica i suoi personaggi: li osserva, li lascia vivere, sbagliare, bere e amare. E in questo risiede la sua grandezza.
Post Office è un romanzo che parla di libertà, ma anche di solitudine; di ribellione, ma anche di resa. È la cronaca di un uomo che non vuole essere un eroe, ma solo restare vivo in un mondo che anestetizza
